“Squarci di campagna”(La gente, la vita, l’economia e il territorio nel Catasto Generale della Terra di Supersano – 1742-1752): è il titolo del più recente lavoro di Bruno Contini comparso a Novembre del 2009 nella collana Helios delle Edizioni Grifo. Contini era noto per alcuni interventi in occasione di pubblicazioni sulla storia di Supersano, piccolo comune della provincia di Lecce, e per uno studio di Letteratura Inglese. Egli è nato e vive a Supersano, è stato docente di Lingua e Letteratura Inglese ed ora è Preside dell’Istituto Professionale di Stato per i Servizi della Ristorazione e del Turismo di Otranto (Lecce). Apprezzabile è il suo impegno in ambito culturale se si tiene conto di quanto oggi la scuola richieda ad un docente ed in particolare ad un Preside. Contini non ha saputo rinunciare e si è mostrato attratto soprattutto dai suoi posti, dalla loro storia, da quella piccola Supersano che per lui andava scoperta e rivalutata. Vi è tornato con questo ampio volume ricco d’immagini fotografiche e di copie di pagine originali di antichi documenti per le quali, in apertura, dichiara di aver usufruito dell’aiuto di collaboratori compreso il fratello Franco.
L’opera è presentata da Alessandro Laporta e dopo una breve premessa del Contini giunge il suo lavoro. Questo costituisce la prima parte del libro e si compone di sei capitoli nei quali l’autore s’impegna ad introdurre il lettore alla seconda parte, cioè al Documento, al “Libro dell’Onciario di Supersano”. Si tratta dell’attestato di un censimento effettuato nel 1742, durante il periodo borbonico, e per il quale gli averi dei sudditi dovevano essere valutati in once. A volerlo nel Regno di Napoli, del quale la Puglia e Supersano facevano parte, era stato Carlo III di Borbone, figlio del re di Spagna Filippo V. Esso veniva dopo il Concordato del 1741 tra il re e la Chiesa dove si era stabilito che anche i beni ecclesiastici dovessero essere sottoposti ad imposta. Questa, in verità, doveva interessare anche le ricchezze dei nobili fino ad allora rimaste intoccate dalle tasse. Erano insorti nuovi bisogni che, uniti all’intenzione di ridurre un onere che gravava sulle classi più umili, avevano fatto pensare a questo tipo di censimento. Fu un’operazione complessa data l’estensione del Regno di Napoli, richiese molti esperti, coinvolse tante persone e non sempre e non ovunque ottenne i risultati voluti poiché in molti casi rimase incompiuta o non raggiunse chi sempre ne era rimasto lontano.
A differenza di altri posti a Supersano il Catasto Onciario fu portato a termine nel 1752 e il suo rinvenimento presso l’Archivio di Stato di Napoli ha mosso il Contini in questa operazione. Sono stati rinvenuti anche altri documenti relativi all’Onciario quali il “Libro dell’Apprezzo”, il “Libro delle Rivele” e il “Libro dello Spoglio” oltre al “Catalogo Generale della Terra di Supersano”. “E’ il primo censimento generale dei beni e della popolazione supersanese nel 1742…” dice l’autore nella premessa ed esso gli consente di ricostruire, nella prima parte dell’opera, la vita del suo paese d’allora in ogni aspetto, dal privato al pubblico, dal religioso al politico, dall’economico al sociale, dallo storico al culturale. Niente manca di ciò che a Supersano avveniva durante la metà del XVIII secolo. I dati forniti dalla scoperta dell’Onciario hanno permesso al Contini di risalire ai tempi, ai luoghi, ai costumi, ai fatti del momento, di recuperare gli ambienti, le persone, le case, le strade, le piazze, le periferie, le famiglie, le classi sociali, i mestieri, i lavori, la condizione culturale, la posizione femminile della Supersano borbonica. Tutto, il paese e i suoi abitanti e le loro cose vecchie e nuove, vicine e lontane, riemerge senza assalire il lettore, senza sorprenderlo ma rendendolo gradualmente partecipe e riuscendo, così, ad incuriosirlo e coinvolgerlo fin dalle prime pagine. E’ la maniera propria dei narratori e ad essi può essere accostato il Contini di questo lavoro essendo egli riuscito a rendere un’indagine simile ad un racconto.
Viene, poi, la seconda parte, quella documentaria, dove è riportato il testo del “Libro dell’Onciario di Supersano” ed anche in questo lavoro di trascrizione risaltano l’attenzione e la cura del Contini il quale, tuttavia, non si assume, come dichiarato all’inizio, la responsabilità della versione definitiva e la rimanda ad ulteriori approfondimenti propri o di altri studiosi. Seguono alcune tavole comprensive dei nomi dei luoghi, interni ed esterni alla vecchia Supersano, dei suoi abitanti ed un piccolo vocabolario utile a chiarire il significato di particolari termini usati nell’opera. Questa si conclude con un’ampia bibliografia che mostra come quello del Contini s’inserisca in un contesto di studi che esiste da tempo, ha interessato studiosi di diversa provenienza e formazione e mira a restituire alla storia quanto finora le era stato sottratto.
Antonio Stanca
edscuola.it
Presentato nei giorni scorsi un pregevole libro del professore Bruno Contini che tratta la vita, la gente, l’economia e il territorio nel catasto generale della terra di Supersano dal 1742 al 1752, edito da “Grifo”. I lavori sono stati introdotti da Caterina Corrado e sono intevenuti Marcella Rucco, dirigente ufficio scolastico provinciale, Alessandro Laporta, direttore della Biblioteca provinciale, e Hervè Cavallera, docente dell’Università del Salento. “L’autore riporta alla luce, quasi fosse un archeologo sulle tracce dell’età dei lumi -si legge nella presentazione di Laporta- l’atmosfera perduta del suo paese che rivive nelle voci, nei profumi, nei rumori dell’attività quotidiana: il contadino, il fornaio, il trappetaro, ma anche il ‘soldato del Re’, il massaro, il prete, animano le strade e ci sfilano davanti come in corteo. La classificazione è rigorosa: quadri sinottici, tabelle, grafici mettono in grado di cogliere del documento le parti essenziali, e si ottiene quasi un capovolgimento del tradizionale modello d’approccio. Operazione riuscitissima, che dà al libro una originalità tutta particolare, oltre ad una piacevolezza accattivante”.
Il volume accompagna per mano il lettore e lo mette a suo agio, preparandolo alla seconda metà con il catasto in tutta la sua complessità. Infine troviamo: la toponomastica, l’indice dei cognomi e un glossario tecnico.
belpaeseweb.it
Bruno Contini, Squarci di campagna. La gente, la vita, l’economia e il territorio nel Catasto Generale della Terra di Supersano. 1742-1752, Lecce, Edizioni Grifo, 2009, pp. 303, s. i. p.
Nel suggestivo titolo del volume è racchiusa la trama narrativa della esistenza difficile dei frugali abitanti della Terricciuola di Supersano a metà del XVIII secolo. Il racconto di comunità è dedotto dalla compulsazione delle righe del documento fiscale carolino, che si dimostra essere come la ponderosa produzione saggistica di carattere storico-economico sui catasti onciari delle Università del Mezzogiomo d’Italia ha abbondantemente sviscerato negli ultimi tempi, grazie all’impulso rivalutativo, in sede storiografica, impresso da Augusto Placanica e dai suoi continuatori – uno strumento conoscitivo imprescindibile per studiare la società di Antico Regime.
Il paziente lavoro di scavo archivistico condotto da Bruno Contini innamorato studioso del suo paese fa rivivere la piccola patria di Supersano per mezzo dell’interpretazione attenta delle “dichiarazioni” rese al Regio Fisco dai capifamiglia, per lo più “bracciali” dediti caparbiamente al lavoro dei campi sudatissimi. Ne scaturisce un quadro puntuale sulla struttura portante della vita paesana, scandita da una rigida e controllata divisione dei ruoli tra i pochissimi agiati (o, quanto meno, “accomodati”: come il furbo ceto degli ecclesiastici, che gestivano, avvantaggiandosene, i lasciti e i benefici, le cappellanie e i legati ad animas ) e i tantissimi sottoposti (come coloro che tiravano avanti esclusivamente con la “propria fatigha”: spaccandosi la schiena a dissodare la Piana e la Serra, o curando le bestie loro affidate).
Esaminando con minuziosità le vecchie carte, l’autore ha potuto bene evidenziare la cifra identitaria dell’aggregato di nuclei familiari timorati e operosi, intenti a portare con dignità la croce d’una esistenza praticamente bloccata. Condamtati a proseguire nell’immobilità sociale, i figli dei contadini avrebbero, per forza di cose, continuato a scassare il sasso e custodire gli animali.
Quanti di loro si potevano veramente permettere il lusso di sfuggire al destino di minorità reddituale segnato ab immemorabili? Il gradino cetuale, appena superiore, quello di “massaro”, era l’unico allora valicabile, ma non per molti, ovviamente.
Bisognava, d’altro canto, possedere una riconosciuta perizia nel gestire uomini e bestiame, non disgiunta dalla benevolenza dell’occhiuto feudatario e dell’esigente magnifico proprietario. D’altronde, in una società ferreamente baronale, il pugno di benestanti (“viventi nobilmente”) faceva il bello e il cattivo tempo senza guardare in faccia a nessuno.
Erano, quindi, sempre i titoli maiuscoli a decretare la differenzazad un aulico “Don” e a un promettente “Signonno” toccava l’ultima parola in fatto di scelte, di decisioni. Alla massa dei minuscoli “cafoni” non restava altro che obbedire. Ricorrendo, magari, all’immancabile (e impetrata) intercessione dei festeggiati santi in nicchia, per vedersi riconoscere (dall’ “alto”) un diritto calpestato e ingraziarsi “il dopo”: susseguente alla penitenza d’una vita non lunga e troppo “terrena”, piegata dai soprusi del potere oltre che dai dolori della schiena spezzata.
Contini, dunque, ha saputo mixare un vero e proprio film neorealistico bellamente girato, squademando sapide scene d’ambiente, che icasticamente fanno toccare con mano fatti e situazioni di matura età feudale, sillabata dalle privazioni di popolo e dai godimenti di casta. In bianco e nero tralucono, invero spezzoni di robuste trame relazionali esperite, in prevalenza, nel “vuoto” pieno d’alberi profittevoli della campagna resa ubertosa (gli olivi dei “boschi di Minerva”, ai piedi dell’altura che protegge l’abitato) e nel “chiuso” di una casa terragna, eloquentemente pitturato nello spazio condominiale della tipologia “a corte”. Nelle monocellule con pavimento in terra battuta, e con ortale dietro, si aggomitolava in realtà l’esistenza modesta e soggiogata dei supersanesi alle prese con le durezze quotidiane.
La scenografia con gusto apparecchiata dal Contini narratore domestico ci avvince per l’immediatezza dell’ordito, che non manca di dipanare i fili del bel paesaggio agrario.
Si tesse così il canovaccio delle quinte del territorio fuori urbano.
La ricca fonte consultata (con la lente d’ingrandimento puntata su ogni dettaglio per scrupolo di disvelamento) ha consentito all’autore appassionato di focalizzare l’attenzione sui luoghi riconosciuti (e riconoscibili: per chiari segni sul terreno) dello specioso feudo di Supersano.
Ecco perché risplende la palude di “Sombrino”, che allontanava il contadino richiamando il cacciatore. Ma è il carissimo bosco dei signori Gallone di Tricase, il “Belvedere” autentico, a meritare tutta la nostra concentrazione studiosa. Qui, tra querce patriarcali è andata nei secoli costruendosi l’identità paesana, che deve alla sua produttivissima “foresta” buona parte di sé.Michele Mainardi
LEUCADIA